«Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno» G. Falcone (con M. Padovani), Cose di Cosa Nostra, Rizzoli, Milano 1991, pp.170-171.
Raccontare di Giovanni Falcone e dei suoi ultimi tribolati anni, quelli che in qualche modo hanno preparato e preceduto il botto di Capaci, è il compito che si è dato Giovanni Bianconi con il suo L’assedio. troppi nemici per Giovanni Falcone. edito da Einaudi.
Il più capace magistrato italiano
L’autore, firma di prestigio del Corriere della Sera, grazie a una voce e a una cifra stilistica inconfondibile, unita alla passione per la parola scritta e alla meticolosità del cronista, è riuscito a consegnarci un ritratto del magistrato Giovanni Falcone – il più capace magistrato italiano come recita la sentenza della seconda sezione Penale della Corte di Cassazione del 6 maggio 2004 – senza cedere al facile richiamo della retorica celebrativa ma, al contrario, lasciandosi guidare dalla ricerca e dall’analisi dei fatti.
Un uomo solo e sconfitto
Ecco, i fatti. Nelle pagine di Bianconi vengono disposti come su di una immaginifica linea temporale. E fa specie constatare come, nell’arco del quinquennio preso in considerazione, la condizione che più accompagna Falcone sia quella di un uomo solo e sconfitto. A partire dal 1987 sarà la sconfitta a marchiare indelebilmente il percorso professionale di Falcone. Sconfitto alla successione di Caponnetto per la guida dell’ufficio Istruzione di Palermo. Sconfitto nel febbraio del 1992 nella corsa a guidare la procura nazionale antimafia. La solitudine e la sconfitta all’interno delle istituzioni, quelle che avrebbero dovuto tutelarlo, saranno il terreno fertile su cui poggerà l’attentato del 23 maggio 1992.
Giovanni Falcone: un uomo scomodo
Un uomo scomodo, Falcone. Famoso in Italia e all’estero, magistrato simbolo della lotta alla criminalità organizzata, presente sui media. Emerge nitida la figura non di un idealista con venature donchisciottesche ma di un uomo pratico, concreto. Pronto a mettersi in gioco quando decide di accettare l’incarico, su sollecitazione dell’allora Ministro di grazia e giustizia Martelli, di direttore generale dell’ufficio Affari penali. Una scelta, questa, che evidenzia lo spirito di un uomo consapevole che, seppur pagando lo scotto agli occhi dell’opinione pubblica di venire a contatto con un governo a guida Andreotti, riusciva a vedere oltre, mettendo al primo posto l’opportunità di potersi giovare di una struttura in grado di incidere nel concreto nella lotta alla criminalità. Ciò dopo che aver constatato il venir meno delle condizioni per poter continuare a lavorare a Palermo, confermate dalla stagione delle lettere diffamatorie del Corvo.
Il Maxiprocesso e la sentenza del 30 gennaio 1992
Un uomo solo, circondato da un numero ristretto di colleghi su cui fare affidamento. Erano i magistrati di quel pool antimafia che aveva contribuito a istituire il celebre Maxiprocesso dove si disvelava il «teorema Buscetta», ovvero l’esistenza di Cosa nostra, la sua struttura interna e i meccanismi operativi e decisionali. Le sentenze di condanna furono un colpo durissimo per i capi clan. Dimostravano che gli interlocutori politici erano venuti meno a quel patto di garanti degli interessi mafiosi. Questo anche grazie alla nomine di giudici particolarmente “accondiscendenti” come Corrado Carnevale – l’ammazzasentenze – in grado di far naufragare ogni processo. La rotazione dei processi per mafia, affidati a tutti i presidenti di sezione e non solo quasi nella totalità a Carnevale, era il segnale che a Roma – inteso come centro di potere politico – stavano cambiando gli equilibri. Il lavoro di Giovanni Falcone portava frutto anche lontano da Palermo.
La reazione al Maxiprocesso
La reazione dei boss, guidati da Riina, fu una vera e propria dichiarazione di guerra alla politica e alle istituzioni dello Stato. L’omicido di Salvo Lima, potente eurodeputato democristiano e plenipotenziario della corrente andreottiana in Sicilia, era il segnale. I vecchi equilibri erano saltati, la mafia aveva reagito alle nuove norme di contrasto alla criminalità organizzata. Era la guerra. Conscio della gravità della nuova fase Falcone, parlando dell’accaduto con la sua più stretta collaboratrice Liliana Ferraro, affermò come il nuovo livello di scontro portato da Cosa nostra avrebbe avuto un nuovo obiettivo. Lui.
Titolo : L’assedio. Troppi nemici per Giovanni Falcone
Autore: Giovanni Bianconi
Editore: Einaudi
Pagine: 400
Prezzo: 19,00